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Le chat su WhatsApp possono costituire prova di infedeltà coniugale?

Pubblicato il: 7 Aprile 2025
Un'immagine dell'app di WhatsApp installata su un telefono cellulare

WhatsApp è un’importante risorsa per la comunicazione, sia in ambito lavorativo che personale. Questa e altre piattaforme facilitano lo scambio rapido di informazioni, ma possono anche diventare veicoli di interazioni più intime e riservate.

Ad esempio, è possibile utilizzare WhatsApp per intrattenere una relazione extraconiugale, scambiando messaggi testuali, foto, video o vocali con un’altra persona all’insaputa della propria partner “ufficiale”.

In tali circostanze, sorge spontanea la domanda: le conversazioni su WhatsApp possono essere utilizzate come prova di infedeltà in un procedimento di separazione con addebito?​ Se sì, in quali circostanze?

Le chat come prova di infedeltà

​Le conversazioni su WhatsApp possono costituire una prova valida in tribunale per dimostrare l’infedeltà di un coniuge. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13121 del 12 maggio 2023, ha stabilito che l’utilizzo di screenshot di WhatsApp è legittimo se finalizzato a far valere un diritto in sede giudiziaria. La Corte ha evidenziato che, ai sensi del D.lgs. n. 196 del 2003, art. 24 comma 1, lett. f, il consenso al trattamento dei dati personali non è fondamentale quando è necessario per esercitare il diritto di difesa in giudizio. ​

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un marito aveva allegato al ricorso di separazione degli screenshot di WhatsApp che documentavano le relazioni extraconiugali della moglie. Gli screenshot erano stati forniti dalla figlia, senza il consenso della madre. La Corte d’Appello ha ritenuto utilizzabili tali conversazioni, in quanto finalizzate a far valere un diritto in sede giudiziaria, e ha attribuito l’addebito della separazione alla moglie per violazione dell’obbligo di fedeltà.

Tuttavia, è importante sottolineare che, sebbene l’acquisizione di tali prove possa essere ammessa in giudizio, la loro raccolta deve avvenire nel rispetto della legge, evitando violazioni della privacy o accessi abusivi a dispositivi altrui. L’utilizzo di conversazioni private come prova in tribunale è consentito quando è necessario per l’esercizio del diritto di difesa, ma ciò non legittima comportamenti illeciti nella raccolta delle stesse. ​

Inoltre, la semplice esistenza di messaggi compromettenti non è di per sé sufficiente per ottenere l’addebito della separazione; è necessario dimostrare che tali comportamenti hanno avuto un’effettiva incidenza causale nella crisi coniugale. La giurisprudenza richiede, infatti, che venga provato il nesso causale tra l’infedeltà e l’intollerabilità della convivenza.

Tradimento virtuale con WhatsApp e addebito della separazione

Un aspetto rilevante nella giurisprudenza italiana è rappresentato dal riconoscimento del cosiddetto tradimento virtuale. Non si tratta di un’infedeltà fisica in senso stretto, bensì di una relazione extraconiugale che si sviluppa esclusivamente attraverso mezzi digitali, come le conversazioni via WhatsApp, le interazioni su social network, lo scambio di fotografie intime, o la partecipazione attiva a piattaforme di dating online.

Secondo diverse sentenze, anche in assenza di un rapporto fisico consumato, il tradimento virtuale può costituire motivo sufficiente per l’addebito della separazione, se viene dimostrato che la condotta ha leso la dignità, l’onore e la fiducia che costituiscono il fondamento del vincolo matrimoniale.

Il principio giuridico che sorregge questa posizione si basa sull’art. 143 del Codice Civile, che impone ai coniugi l’obbligo reciproco di fedeltà. Tale obbligo non si esaurisce nella mera esclusività sessuale, ma include anche la lealtà, la trasparenza e la cor rettezza affettiva e relazionale. Un coniuge che intrattiene conversazioni romantiche o sessualmente esplicite con un terzo, pur senza incontrarlo, può comunque violare questi doveri.

La giurisprudenza più recente ha sancito che simili comportamenti, se reiterati e nascosti, sono in grado di creare una frattura insanabile nella coppia, anche perché generano un sentimento di esclusione e umiliazione nell’altro coniuge. Non è raro che il coniuge tradito, pur riconoscendo la mancanza di contatto fisico, percepisca il tradimento virtuale come più insidioso, proprio per la dimensione affettiva e intima che può coinvolgere.

Un elemento spesso rilevante nei procedimenti è la prova dell’intenzionalità: quando le conversazioni digitali mostrano coinvolgimento emotivo, promessa di incontri futuri, complicità o linguaggio esplicitamente erotico, i giudici tendono a considerarle non come semplici scambi frivoli, ma come veri e propri atti di infedeltà.

Va aggiunto che la frequenza, il contenuto e la durata della relazione virtuale sono elementi che il tribunale valuta attentamente. Una chat isolata o ambigua potrebbe non bastare, ma una corrispondenza continuativa, ricca di elementi affettivi o sessuali, sì.

Raccomandazioni per l’uso delle chat come prova

Quando si intende utilizzare le conversazioni WhatsApp come prova in un procedimento di separazione, è fondamentale:

  • Ottenere le prove lecitamente: evitare di accedere ai dispositivi del coniuge senza autorizzazione per non incorrere in reati come l’accesso abusivo a sistema informatico.​
  • Preservare l’integrità delle prove: conservare gli screenshot o le trascrizioni in modo che non possano essere contestati o considerati manipolati.​
  • Considerare il contesto: le chat devono essere valutate nel contesto generale della relazione e della crisi coniugale, poiché potrebbero non essere sufficienti da sole a determinare l’addebito.​

Per veicolare i contenuti di WhatsApp ritenuti utili nel giudizio di separazione coniugale, si possono effettuare gli “screenshot” delle chat e allegarli al fascicolo di parte come documento stampato o su supporto informatico, come avviene nel processo civile telematico. Un’alternativa è quella di chiamare a deporre, come testimoni, coloro che hanno visionato le chat rilevanti ai fini di prova del tradimento.​

Come vengono valutate le prove digitali

​Le conversazioni su WhatsApp, in quanto riproduzioni informatiche, rientrano nella categoria delle “riproduzioni meccaniche” disciplinate dall’articolo 2712 del Codice Civile. Questo articolo stabilisce che tali riproduzioni formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, a meno che la parte contro cui sono prodotte non ne contesti la conformità alla realtà.​

Tuttavia, affinché il disconoscimento sia efficace e possa incidere sul valore probatorio delle conversazioni presentate, è necessario che esso sia:​

  • Chiaro: la contestazione deve essere espressa in modo inequivocabile, senza ambiguità.​
  • Circostanziato: deve specificare dettagliatamente gli aspetti contestati, indicando quali parti della conversazione si ritengono non conformi alla realtà.​
  • Esplicito: è fondamentale fornire elementi concreti che attestino la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta nelle conversazioni.​

Il disconoscimento deve inoltre essere tempestivo, in modo che il giudice possa porlo a fondamento della propria decisione.

In assenza di questi criteri, le conversazioni WhatsApp prodotte in giudizio mantengono il loro valore probatorio e possono essere utilizzate come prova piena dei fatti in esse rappresentati. Questo significa che, se non adeguatamente contestate, le conversazioni su WhatsApp possono influenzare significativamente l’esito di un procedimento giudiziario, come ad esempio in casi di separazione con addebito per infedeltà coniugale.​

AUTORE
Foto di Marco Sigismondi, esperto di tecniche di spionaggio e controspionaggio per Doctorspy

Marco Sigismondi

Marco Sigismondi è uno dei maggiori esperti in Italia di tecniche di investigazione, spionaggio e controspionaggio (TSCM). Grazie a un'attività di oltre dieci anni nel settore, ha maturato una profonda conoscenza delle metodologie avanzate e degli strumenti più innovativi nel campo della sorveglianza e della protezione delle informazioni. Esperto di bonifiche ambientali per Doctorspy.